La cicala e la formica
Acquerelli di Carla Chiaberta a Villa Giulia
Omaggio artistico al grande direttore d’orchestra Arturo Toscanini.
Accanto a ritratti e paesaggi, a
luminosi squarci di giardino e immagini floreali, nella mostra di Villa Giulia
hanno avuto particolare rilievo e significato gli acquerelli ispirati alla
musica. In quest’ultima fase della sua ricerca la pittrice ha usato spartiti
musicali all’interno delle sue composizioni,e ciò ha dettato l’opportuno
collegamento con i documenti relativi all’illustre “pigionante” dell’Isolino.
Singolare può a prima vista
apparire il repertorio che si delinea dai titoli: dal Mefistofele di
Arrigo Boito alla Bohème di Puccini attraverso brani oggi desueti, che
rievocano i salotti d’antan e trascrizioni per banda, pratiche musicali più
largamente diffuse in anni ormai lontani.
Altrettanto singolare la
spiegazione. Motivo e occasione di queste elaborazioni sono stati gli spartiti
usciti dal baule del padre della pittrice: egli maestro di musica e compositore,
aveva raccolto e conservato “pezzi” d’ogni genere, anche risalenti al nonno.
La tecnica dell’acquerello e
quella del collage sono così unite per associare a squarci di paesaggio
pagine pentagrammate di quaderni di musica, linee melodiche a profili di monti e
di orizzonti, le sfumature trasparenti e luminose dei colori ad acqua agli
accenti dinamici ed espressivi della musica.
I tratti veloci e avventurosi
del pennello accompagnano o decifrano i tratti neri delle note: talora emergono
simmetrie, talaltra contrasti, tuttavia i due linguaggi sembrano nella maggior
parte dei casi compenetrarsi così che i colori sembrano venire dalla musica, i
suoni dalle immagini, in uno scambio di voci ben concertato.
Le corrispondenze sono spesso
sottili: è il caso di “Mefistofele-atto III”, dove la pagina di Boito,
evocatrice di un lago alpino, detta i toni d’acque d’altura, le trasparenze un
po’ cupe di un cielo intenso: l’immagine lascia immaginare gli effetti sonori di
una trascrizione per ottoni.
L’acquerello rivela qui quanto
una mano esperta possa ricavare da una tecnica che di solito si traduce in
schizzi rapidi e “piatti”: Lo scorcio e il taglio dell’inquadratura danno
profondità, anche drammaticità al paesaggio.
E’ facile immaginare che
risultati di questo livello siano il frutto di una applicazione lunga e intensa,
forse anche di qualche tecnica personale e particolare: ogni artista d’altronde
sperimenta tenacemente e ritrova, nell’uso e nella stesura dei colori, gesti e
caratteristiche originali.
Il melodramma e la figura di
Toscanini campeggiano nell’acquerello che esplicitamente si riferisce al
Maestro: “Silenzio, parla la musica”.
Sulla pagina dello spartito, in
cui le pause di lungo silenzio preludono allo scatto dell’orchestra, da un lato
si curvano i palchi dell’Opéra parigino, dall’altro l’immagine di Toscanini
pronto a dare il via a un “tutti” energico e vibrante.
Ancora il melodramma ispira
l’acquerello “Nei cieli bigi guardo fumar dai mille comignoli Parigi”: la pagina
della Bohème pucciniana si spalanca sui tetti di Parigi. Nella cornice
dello studio in soffitta che ha per solo arredo gli attrezzi del mestiere come
ha per solo pane la speranza.
A ricordarci come le regole del
comporre musicale e quelle del comporre pittorico possano assomigliarsi,
l’acquerello “E cupo s’ode gemere il mare” associa una pagina di manuale sui
registri e la caratteristiche delle voci a uno “studio” di onde.
Una pagina musicale brillante e
movimentata fa da sfondo e da colonna sonora ad aspre e vigorose linee di monti
nell’acqerello”Sulle ali della musica”.
Alle note danzanti e sinuose di
una Barcarola per mandolino e pianoforte si associano immagini di barche
allineate sulla proda dirimpetto all’isola di San Giulio, docili ai ritmi
cullanti del lago.
La pagina di un galop che
immaginiamo eseguito in una festa della buona società, per la mani di signorine
educate al ricamo e alla leggiadria, nell’acquerello “Libellule” ispira corolle
acquatiche, forse di fioritura effimera.
E’ il senso del tempo e della
fugacità che emerge da queste immagini, come da altre precedentemente citate era
emerso il senso dello spazio e di misteriose profondità.
E in qualche modo l’acquerello “Eté”
è la sintesi del lavoro dell’artista.
Infatti il titolo viene da
quello del brano musicale posto a sfondo, ma dietro ai fiori che campeggiano in
primo piano emerge anche la pagina di una celebre favola di La Fontaine: La
cicala e la formica.
Così sono gli acquerelli di
Carla Chiaberta: il frutto di un lungo e operoso accumulo di esperienze e di
emozioni, la felicità istantanea e spontanea del canto. Non ci potrebbe essere
il colore aperto e duttile dell’acquerello senza la tensione di un raccolto
tempestivo e preveggente.
Si confermano così, nelle novità
di queste opere recenti legate alla musica, le finezze e le delicatezze
espressive testimoniate in anni precedenti da visioni di lago.
Ne sono efficaci esempi
l’immagine dell’ isola Pescatori invasa e dominata da un sole
rosseggiante, lo scorcio floreale colto in “Villa Taranto: emozioni di
primavera”.
Carla Chiaberta, avviata fin
dall’adolescenza alla pittura, verso la fine degli anni 70 ha scoperto la
vocazione all’acquerello: entrata nell’ Associazione Italiana Acquerellisti nel
1988, ha conseguito numerosi e prestigiosi premi negli anni 90 sia in Italia che
all’estero ed è stata accolta come socia nel Salon d’Automne al Grand Palais di
Parigi nel ’91.
Se possiamo pensare che i
paesaggi del verbano le abbiano propiziato il gusto per colori cangianti e
ricchi di sfumature, dovremo riconoscere che anche in ogni altra esperienza, di
viaggi e di prove, ha fatto tesoro: chiarezza e luminosità si uniscono alla
sensibilità musicale e alle affettuose memorie familiari per intingere di
emozione gli acquerelli più recenti.
L’innesto di aspetti materici
sulla liquescenza dei colori ad acqua potrà aprire la via ad altre
sperimentazioni, con possibilità anche sorprendenti se dagli accostamenti
esplorati deriveranno delle conclusioni propiziatrici di ulteriori sviluppi:
l’uso di lacerti cartacei, benché ricavati da oggetti concreti e riconoscibili,
potrebbe anche svoltare nell’astrazione, nella ricerca di espressioni legate
alla tecnica stessa dell’acquerello più che a visioni di paesaggio, a echi di
memorie più che a ritratti dal vero.
Pier Angelo Garella
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